Il messaggio che si trasmette è quello che una donna per essere tale deve essere madre.
Il corpo è nostro e dovremmo essere noi a decidere in che modo disporne, perché la fertilità è un fatto privato, così come la scelta di portare avanti una gravidanza.
Invece, da un governo che non ritiene l’acqua un bene comune, che tratta i temi con un approccio neoliberista volto alla privatizzazione dei servizi essenziali, ci viene addirittura detto che la fertilità è un bene comune.
Una performance pubblica, perché il nostro corpo è disposizione di tutti per il ripopolamento della nazione. Oltre al danno pure la beffa.
Dinanzi a un paese con livelli altissimi di disoccupazione giovanile, in cui la stabilità lavorativa è un’utopia e dove la precarietà della vita è ormai diventata il quotidiano di milioni di persone, si risponde con una campagna confusa.
Un paese dove Anna riesce ad avanzare per le sue competenze in più colloqui, ma non riesce ad essere assunta perché ha un figlio.
Un paese dove Giulia per programmare una gravidanza, prima ancora che col suo partner, deve farlo con il suo datore di lavoro, perché in azienda vigono delle regole ben precise.
Siamo donne, prima che madri, figlie o sorelle. E chiediamo quello che chiederemmo per qualsiasi nostro simile, di ogni genere: diritti, lavoro, welfare. Tutelateci questo!